Un incontro con Pablo Echaurren
Ho ascoltato una favola dalla voce di Pablo. Un giorno un suo disegno capita per caso nelle mani di una signora.
La donna decide di tradurre le linee che si intrecciano, i colori accostati l’uno vicino all’altro in un soffice quadro di stoffa. Con filo e ago segue i contorni di forme che a prima vista mal si distinguono, senza spazio libero tra l’una e l’altra, non lasciano che spiragli di cielo entrino tra le ossa, i teschi, i denti che l’artista ha disegnato. Ciò che non c’è emerge, l’horror vacui, il terrore del vuoto, vuoto a cui … stranamente… Pablo sostituisce l’immagine del tempo, i risultati della sua azione corrosiva.
La donna cuce, poi invia a Pablo una tela finita senza lasciar tracce di sé, neanche il nome.
leggere così bene nelle linee sottili del suo disegno; riesce, attraverso il bollo postale, a ritrovarla e ancora oggi l’artista disegna, la donna cuce.
Chi è l’artista? L’uomo che ha avuto un’idea o la donna che l’ha realizzata? A questa domanda Pablo non sa rispondere, anzi dice, “me lo chiedo ancora”. Certo l’arte non ammette divisioni, le opere che la donna cuce non sono “arte applicata” ma arte tuout court. L’arte è l’idea che l’artista riesce a mettere fuori di sé, una immagine che riesce a dar vita a qualcosa di nuovo e che in Pablo prende le forme più disparate: arazzi, vasi, copertine di libri. L’immagine, se valida, non perde mai il suo vigore, la sua espressività.
Le sue figure disegnate su una t-shirt rompono il vecchio paradigma della sacralizzazione dell’arte: l’arte non è per una élite di iniziati, l’arte non è solo una tela al muro e viaggia per le strade su una maglietta colorata o sulle copertine di una rivista. L’arte è l’immagine e non la mistificazione intellettuale del Turner Prize.
Pablo è ancora giovane ma ha vissuto gli anni di una rivoluzione fallita, ricorda i nomi, i luoghi, le incoerenze e lo racconta a noi. Racconta poi di un amore giovanile, racconta con lucidità, di se stesso ora, dei suoi impegni, dei suoi progetti, dei suoi dubbi. E’ un uomo disponibile, sembra cercare qualcosa di antico che ancora non ha trovato.
Seduta sul divano grigio della sua casa ho di fronte a me un grande quadro, una superficie coperta di piccoli teschi dall’apparenza innocua, sui quali si distendono campi di colore: blu, giallo, verde e lo stesso spazio senza aria, senza via di scampo. Uscendo dalla sua casa una domanda mi rimane inespressa: chi ha insegnato a Pablo ad aver
paura del vuoto?
Isabella Pompei
